- Presentata come passo fondamentale per guarire le amministrazioni pubbliche dagli innumerevoli mali che le attanagliano, la cosidetta anagrafe degli eletti (l’obbligo cioè per chi ricopre cariche elettive di rendere noti i propri redditi e la propria situazione patrimoniale) sembra appartenere più all’abusato filone dei provvedimenti di facciata, piuttosto che a quello degli interventi significativamente concreti.
Utile giusto per soddisfare l’istinto un po’ guardone di stilare, ad esempio, l’immancabile classifica dei più ricchi o di invidiare redditi o proprietà dell’assessore Tizio piuttosto che del consigliere Caio, il provvedimento lascia alquanto perplessi riguardo alla reale efficacia sul piano dell’effettiva trasparenza. Detto dell’assoluta inutilità a fungere da deterrente per eventuali comportamenti truffaldini (non sono state certo le dichiarazioni al fisco ad aver portato allo scoperto i casi di un Fiorito o di un Bossi junior) rimane difficile capire come elementi di giudizio su di una qualunque “persona pubblica” possano saltare fuori dalle pieghe di un modello di dichiarazione dei redditi.
L’iniziativa ha incassato, com’era facilmente prevedibile, l’entusiastica approvazione dell’amministrazione comunale giuliese, che sulla tutt’altro che fondamentale anagrafe degli eletti aveva speso già in passato fiumi di parole. Distratti dalla pubblicazione di redditi, compensi e proprietà immobiliari, ai paladini di una trasparenza per lo più ipotetica non è però neppure balenato di imporre, ad esempio, l’obbligo per ciascun candidato di dichiarare le spese sostenute in campagna elettorale, con l’indicazione, di importanza tutt’altro che secondaria, di entità e provenienza dei contributi ricevuti. Giusto per svelare, ad esempio, da dove arrivino i fondi investiti in certe faraoniche campagne elettorali.
Analoga “dimenticanza” per il delicatissimo capitolo delle spese, che ha visto beatamente ignorata qualunque ipotesi di spiegare agli elettori, fuori dagli arzigogoli contabili, perché la Tarsu sia aumentata pur crescendo la percentuale di raccolta differenziata, o perché ci sia costato così tanto ripulire il litorale dopo le mareggiate del 2011, o ancora perché tanti, troppi lavori pubblici realizzati di recente siano impresentabili (lungomare), mal rifiniti (ex Golf bar), semplicemente da rifare (pavimentazione 2010 di piazza Buozzi e Corso Garibaldi). Sono solo alcuni esempi di un elenco che potrebbe continuare all’infinito, comprendendo fra le “opacità” amministrative eliminabili la blindatura della “Giulianova Patrimonio” (nulla si è fatto per rendere accessibili a tutti modalità di assunzioni, livelli di spesa, debiti e investimenti), il reale stato dei debiti nei confronti del Cirsu (magari mostrando finalmente le ricevute di pagamenti) e le effettive prospettive delle casse comunali dopo la mancata vendita dei terreni.
Si dirà che tutto questo non è espressamente previsto dalla legge, ma il punto non è questo. Sapere dove vanno a finire i nostri soldi non è (non dovrebbe essere) un’opzione né una gentile concessione dell’amministratore di turno, ma un sacrosanto diritto. Chi ricopre un qualsiasi ruolo istituzionale non lo fa (non lo dovrebbe fare) per occupare una poltrona di prestigio o per programmare la propria carriera, ma per gestire per nostro conto la cosa pubblica (cioè nostra): renderne conto ai legittimi titolari (cioè a noi) dovrebbe essere la logica conseguenza. Non serve la legge.
Basta la volontà.
Scritto da Paolo Innocenti – Giuliaviva.it